Oggi voglio parlare, in pochi minuti, dell’album più importante della musica vaporwave.

Per chi non sa cos’è la Vaporwave, è un genere di musica elettronica, nonchè corrente estetica, nata intorno al 2010.

Nato come una variante ironica della chillwave, la vaporwave si è sviluppata in parte anche nelle tendenze sperimentali del pop ipnagogico ed è caratterizzato dall’appropiazione di stili come lo smooth jazz, RnB e Longue, interpretate con tecniche di sampling.

L’album di cui vi voglio parlare è “Floral Shoppe”, l’unico album di Macintosh Plus, compositrice statunitense ancora in attività col nome di Vektoid.

L’album è una vera e propria galleria degli orrori. Ogni pezzo non è altro che la destrutturazione di brani hit pop anni 70,80 e 90 e genera strane sensazioni di nostalgia, soprattutto per gli appasionati di anni 80 (probabilmente dovuto al suo appeal tipicamente antologico).

Tutta la vaporwave usa riferimenti estetici degli anni 80 e soprattutto come, attraverso questi canoni, quell’epoca immaginasse il futuro come metro di paragone della realtà attuale. Un mondo ormai incapace di immaginare il futuro se non come una noiosa e banale ripetizione del presente e dei suoi meccanismi intrinsechi.

La vaporwave stessa è autoironica e satirica. Usare tecnologie contemporanee per riprendere cose già fatte in trent’anni prima è molto antologico e denota una mancanza di immaginazione. La vera articità del movimento riguarda l’aver inventato un linguaggio che stimola la riflessione all’ascoltatore.

Il brano più famoso dell’album è senz’altro “Lisa Frank 420 / Modern Computing”, che consiste in una versione rallentata al 75 % con l’aggiunta di loop di “It’s Your Move” di Diana Ross. Il pezzo, esemplicativo della scena vaporwave, viene spesso usata come canzone meme. Da pezzo pop-dance anni 80 elettronico e catchy, Vektroid lo trasforma in un brano soul allucinogeno, con la voce androgena spezzante e alienante.

“Boot” (ブート Būto) è la versione decadente e oscura di “Tar Baby” di Sade, brano pop tendente al jazz. Alcuni pezzi, come Chill Divin’ with ECCO, dove ECCO sta per Ecco The Dolphin, protagonista dell’omonimo videogioco anni 90, sono invece strumentali e mostrano una sensibilità più vicina al mondo dell’Ambient.

La scelta stessa di scrivere i titoli dei brani in alfabeto giapponese è programmata. Il GIappone degli anni 80 era molto occidentale nei costumi ed era all’epoca un paese in piena crescita economica destinato, secondo gli analisti, a superare gli Stati Uniti (non successe a causa della crisi finanziaria dei primi anni 90).

La copertina stessa è un concentrato di estetica vaporwave, denominata nel gergo Aesthetics. Prospettive inespressive, scacchiera disegnata in digitale, panorama della New York anni 80/90 alterata nei colori, busto greco in bella vista; l’accostamento è chiaramente al limite del no sense ma trasmette un forte senso del chic. L’estetica ottantiana portata al suo estremo, ipercolorata, dozzinale ma fintamente ricercata e quasi nauseante nella sua pretenziosità inguistificata.

Come ogni album vaporwave che si rispetti è disponibile solo in formato digitale su piattaforme come Bandcamp e YouTube, qualsiasi edizione fisica è ad appannaggio dei collezionisti ed è a tiratura limitatissima.